Incontri locali significativi
Il racconto del "pijcho comunitario", un momento conviviale di gioia semplice e autentica, in grado di donare la giusta ...
Ritorno da Challviri dove sono stato con eletti amici, venuti dall’Italia approfittando delle loro vacanze estive.
Il viaggio è servito per ritrovarmi con la comunità e offrire alcuni servizi medici di diagnosi attraverso esami di laboratorio, l’ecografia, l’elettrocardiografia e il pap-test .
Ogni volta che mi avvicino a questi posti, che per me rievocano i tempi iniziali di quest’avventura che dura ormai da trentacinque anni, qualcosa di speciale si rimuove in me.
E’ stata una grande emozione ritrovarmi con l’ambulanza su questi posti conosciuti,che al tempo ritenevo sperduti e raggiungibili solamente a piedi o a cavallo. Oggi gli stessi panorami visti dal finestrino dell’automezzo ,seppur non li assaporo come quando li raggiungevo dopo una faticosa camminata, sono certamente carichi di bellezza , di ricordi e poesia!
Le persone che ho conosciuto conosciute non sono cambiate. L’affetto e il ricordo reciproco con questa gente è rimasto immutato! Si ara la terra ancora con i buoi, con il lavoro duro delle braccia e della forza fisica. Il tempo è passato, ma sembra non sia stato ancora capace di intaccare la dura fibra del campesino , che, chinato sotto il sole con il piccone, su quella terra nera, le parla come parlerebbe a una madre , supplicandola che gli dia alimento! Immagini di poesia , come l’ho vissuta e come rimane difficile da concretizzare in parole ed emozioni che si possano scrivere! Sterminati silenzi che parlano di infinito, che fanno perdere come l’eterno, che fanno immaginare i confini con le regioni vicine, che parlano delle grandi città. Solo il vento riesce a rompere l’incantesimo di quei colori luminosi delle alture e portare il freddo che si presenta non appena il sole scende dietro le alte punte dei confini . Nulla è cambiato in questi posti neanche quel senso di astenia costante, quasi di fame cronica, che viene da una magra alimentazione a base di patate, cucinate in diversi modi ma sempre patate, sostenuta dalla fatica del duro lavoro che inizia all’alba e termina con il tramonto del sole. Un desiderio magico mi riporta l’impossibile e forte desiderio di rimanere ancora con questa gente , per condividere , comprendere , solidarizzare la loro dura storia.
Guardo le loro facce invecchiate per cercare quei segni immortalati nei miei ricordi.
Stringo le loro mani carnose, forti e sporche di terra con le unghie che sembrano abbiano sempre annaspato nella terra per rubare il nutrimento dei suoi prodotti. I loro piedi sono uguali alle mani. La pelle non si distingue dal colore della terra e lascia vedere screpolature forti di cheratina, con unghie incurvate che proteggono il passo dall’inciampo nelle pietre. Le “abarcas” sono i sandali ricavati dai copertoni dei camion, che qui ancora si usano per percorrere le lunghe distanze non misurabili in chilometri percorsi tra salite e discese e che, a seconda della stagione, sono polverosi o fangosi. Come per l’auto queste protezioni dei piedi si cambiano quando diventano completamente lisce!
Ripesco della memoria i momenti comunitari passati insieme nelle lunghe riunioni, scandite dalla masticazione della coca.
Intercambio con Diego una manciata di foglie di coca mentre ci si scambia il saluto con un sorriso, che rievoca l’affetto, con una manata sulla spalla. L’offerta della coca rimane un segno religioso d’affetto che indica stima e vicinanza e che arriva come un linguaggio all’anima . Il sorriso trasparente esprime calore, confidenza , partecipazione, affetto e gioia per questo incontro inaspettato!
Sono venuto ad offrire qualcosa che posso dare, un aiuto per le persone malate, ma è implicito che ricevo molto in cambio!”
Mi sembrano troppo pochi i cambiamenti che sono avvenuti in questi trent’anni trascorsi ..la morte può essere anche una liberazione da una vita difficile con poche risorse e tante fatiche del lavoro. Di fronte a questa realtà mi risveglio prontamente dal mio sogno. Mi accontento di credere che il mistero di Dio rimane un tutt’uno con queste persone che stimo apprezzo e ricordo.
Visito degli ammalati. L’abbandono di alcuni è totale, impensabile per me che sono cresciuto in uno stato dove la sanità è per tutti. Vedo Remigio di trent’anni adagiato su pelli di pecora, stese su un rustico letto, dove è rannicchiato al buio di una cucina che ha pareti di fango, annerite dal fumo e un tetto di paglia. Sua madre racconta che da tre anni è morente ed ora è da tempo che non mangia. E’ visiva la denutrizione che l’ha ridotto scheletrico. La nostra diagnosi è una possibile intossicazione da metanolo con neuropatia e cecità. In Challviri non vi è ancora un medico fisso: è ancora debole il sistema sanitario per garantire la presenza costante di un personale stabile.
E’ calato il sole e il freddo dei 3800 mt. è più marcato di quello conosciuto in Anzaldo. Ci si ritrova seduti per terra nella cucina di doña Modesta che ci accoglie con una cena preparata per tutti.
Riusciamo a starci tutti rischiarati da una lampadina, che è l’unica novità di questi anni dopo l’arrivo della corrente elettrica. La calda minestra con patate è distribuita in un piatto, servita dalla pentola posata a terra. Il cuore di tutti è scaldato dall’ambiente che si respira, fatto di semplicità e cordialità allo stesso tempo. Le emozioni escono spontanee e chiudono il giorno. Ci troviamo a pregare insieme, ringraziando il Signore per i doni che capiamo essere abbondanti e che ci invitano ad accontentarci di quanto abbiamo ricevuto.
Pietro
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